Un’esortazione alla chiamata alla santità di oggi mi ha fatto riflettere su questa parola: Santità. “Il mio umile obiettivo è far risuonare ancora una volta la chiamata alla santità”, dice il Papa in “Gaudete et exsultate”. Può sembrare semplice, ma ricordo perfettamente il giorno in cui ho sentito per la prima volta che quella santità era anche per me: questo ha cambiato la mia vita!
Nella mia storia ho sempre ammirato i santi, ma sinceramente verso di loro la mia relazione non era mai di emulazione ma di pura devozione. Fin dall’infanzia ho imparato a relazionarmi con i santi come intercessori piuttosto che come modelli di vita da imitare. Li ammiravo – collocava collo il tau di San Francisco e leggevo la “Preghiera di San Francesco” che aveva ricamato mia nonna, attaccata alla parete della mia stanza – li vedevo come persone che avevano una straordinaria forza di amare solo Dio.
Conoscere i santi e a relazionarmi con loro come amici
A Shalom ho imparato a conoscere i santi e a relazionarmi con loro come amici, ricordo il primo amico, San Pietro, e il secondo, Santa Teresa di Gesù Bambino. Con il Papa ho imparato che: “I santi, che sono già arrivati alla presenza di Dio, mantengono con noi legami d’amore e di comunione” (GE, 4)
La santità è per me
Un’altra cosa che ho imparato a Shalom è stata che anche la santità era per me! Che sorpresa! Ricordo le magliette create dal Progetto Gioventù: “La nostra meta è la Santità”; non credevo che sarei stato in grado. Ma ho anche appreso che con le mie sole forze non ne sono capace! Ho scoperto che essere chiamato da Dio non significa essere forte o capace, ma semplicemente che mi dà la sua grazia in modo da poter corrispondere alla sua chiamata giorno per giorno. E con il Papa: “Lascia che la grazia del tuo battesimo porti frutto su un cammino di santità. […] Non ti scoraggiare, perché hai la forza dello Spirito Santo affinché sia possibile, e la santità, in fondo, è il frutto dello Spirito Santo nella tua vita (cf. Gal 5, 22-23)”. (GE, 15)
Ho bisogno di pregare per essere un santo
Dal momento che non posso, ho pensato che almeno sarei dovuto essere un prete. Però, ho scoperto a Shalom che non avevo bisogno di essere un prete per essere un santo, ma avevo bisogno di pregare, pregare e pregare. Che senza preghiera “non c’è Opera Nuova”, che si prega quando ci si alza, prima di mangiare, prima delle riunioni, prima della fraternità; nel gruppo di preghiera, in cappella, ma anche nella mia stanza, nel bus e ovunque.
Dio vuole la mia fedeltà ogni giorno
Ho imparato che Dio voleva la mia fedeltà ogni giorno, anche nel poco che potevo dare. Cercando di essere fedele ho imparato ad amare Dio ed amando Dio ho cominciato a desiderare di essere un missionario. Dal Papa ho imparato che la preghiera è ciò che mi fa ben sperare a continuare: «Quando senti la tentazione di invischiarti nella tua debolezza, alza gli occhi al Crocifisso e digli: “Signore, io sono un poveretto, ma tu puoi compiere il miracolo di rendermi un poco migliore.”» (GE, 15)
In breve, ho imparato dal Papa e da Shalom che Dio mi chiama ad essere santo, ma non è frutto delle mie forze. È possibile solo attraverso la preghiera.
Ho imparato molte altre cose. Avrei molto altro da dire sull’esortazione di Papa Francesco, ma queste erano quelle che volevo condividere del primo capitolo di Gaudete et Exultate.
Hai paura di essere infelice? Concludo con una frase degna di menzione, citata dal Papa in Gaudete et Exultate: “Non c’è che una sola tristezza al mondo, quella di non essere santi”.