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L’importanza del Silenzio‏

comshalom

Facciamo silenzio prima di ascoltare la Parola di Dio perché i nostri pensieri sono già rivolti alla Parola. “Facciamo silenzio dopo l’ascolto della Parola perché questa ci parla ancora, vive e dimora in noi. Facciamo silenzio la mattina, perché Dio deve avere la prima parola. Facciamo silenzio prima di coricarci perché l’ultima parola appartiene a Dio”. In questi giorni natalizi, tra corsa impulsiva ai regali, cene, pranzi, giochi, al traffico ecc., purtroppo li abbiamo vissuti, nel pieno del rumore.
Mentre sarebbe bello recuperare l’appello di Dietrich Bonhoeffer, il teologo martire nel lager nazista di Flossenbürg nell’aprile del 1945.
Si tratta di un appello ritmato su un dittico apparentemente in antitesi, parola-silenzio.

In realtà, le vere parole, quelle che nascono dal cuore, strappate dalla verità intima, e non estratte dalla tasca della giacca per essere spese nella chiacchiera o nell’uso quotidiano, hanno bisogno di tempi di silenzio. Soprattutto quando sono di scena le grandi parole, anzi la Parola per eccellenza, quella divina. Con una bocca piena di giudizi preconcetti e un orecchio attirato solo dal profumo delle ortiche del vaniloquio non è possibile lasciare spazio a una Parola così alta, che inquieta e consola, che ammonisce e pacifica, che provoca e lo shalom.
Ecco, allora, una piccola scelta almeno per questi giorni natalizi: ricreare nel deserto dell’esistenza quotidiana due piccole oasi alla mattina e alla sera. Modeste oasi di silenzio in cui lasciar vagare gli occhi sulle righe della Santa scrittura, custodire l’orecchio dal rumore incessante, penetrare nella profonda stanza della coscienza.

Sulla scia delle suggestioni delll’appello di Dietrich Bonhoeffer mi fanno tornare alla mente ad una poesia del padre David Maria Turoldo: “Un chiostro è il mio cuore / ove Tu scendi a sera / io e Te soli / a prolungare il colloquio”.

Mi colpisce perchè anche il nostro poeta come Bonhoeffer, intuisce in questi versi che il dialogo con Dio non ha solo parole ma soprattutto silenzi. Questa riflessione “umana” trova riscontro anche nella Santa Scrittura, non per nulla nella tradizione giudaica il nome di Dio non lo si deve dire ma solo tacere, fare silenzio.

Questo silenzio è lo stesso del “mistero”, parola greca che rimanda al verbo myein che esige il chiudere le labbra nel tacere, perché il mistero custodisce il divino che è infinito, eterno e ineffabile, ma che è anche efficace, potente, salvifico.

Attenzione dopo il silenzio dell’uomo il Qohelet ci ricorda che “c’è un tempo per parlare e un tempo per tacere” (3, 7),
voglio condividere del silenzio di Dio.
Intanto il Silenzio di Dio è diverso dal mutismo degli idoli, perchè nonostante siano fatti d’oro o siano simboli di potere, restano oggetti inerti (“sono come uno spauracchio in un campo di cetrioli: non sanno parlare”, ironizza Geremia).
Il Silenzio di Dio ha due volti, l’uno di rivelazione e di grazia, l’altro di giudizio e di ira.

La più affascinante rappresentazione del silenzio della rivelazione — sintesi di questo tipo di Silenzo “bianco” di Dio (non per nulla è il colore dell’ambito divino nell’Apocalisse) — è nelle tre parole ebraiche che descrivono l’epifania del Signore davanti al profeta fuggiasco e scoraggiato, Elia, giunto alla vetta dell’Horeb-Sinai: qôl demamah daqqah, una “voce di silenzio sottile” (1 Re, 19, 12). Il profeta “focoso” (egli era “come fuoco e la sua parola bruciava come fiaccola”, si legge in Siracide 48, 1) aveva atteso Dio negli altri segni teofanici sinaitici, clamorosi e rumorosi: il “vento gagliardo e potente”, il terremoto, la folgore. Ma il Signore non era lì, bensì nel silenzio che era segno non di assenza ma di presenza efficace, pronta a rimettere di nuovo Elia sulla strada della sua missione.

Carmine Tabarro


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