Il Sabato santo è per i cristiani un giorno contrassegnato dal silenzio, un giorno che può apparire “tempo morto”, svuotato di senso. Anche i Vangeli non dicono nulla su questo “grande sabato”: il racconto della passione di Gesù si arresta alla sera del venerdì, all’apparire delle prime luci del sabato e riprende solo con l’alba del terzo giorno, il primo giorno della settimana “segno della nuova creazione”, “Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino” Gv 20,1.
Giorno vuoto, dunque? Nella Chiesa latina, il sabato santo è l’unico giorno senza celebrazione eucaristica, l’unico giorno restato “aliturgico”, senza celebrazioni particolari: tacciono le campane, non ci sono fiammelle accese nelle chiese spoglie, né canti… Anche la preghiera dei cristiani si fa silenziosa ed è carica soprattutto di attesa: attesa di ciò che muterà profondamente ogni cosa, ogni storia. Certo, sappiamo bene che la Pasqua è un evento avvenuto ephápax , “una volta per tutte”, il 9 aprile dell’anno 30 della nostra era, sappiamo che Cristo ormai risorto non muore più, anzi è il Vivente, siamo consapevoli di non celebrare un mistero ciclico come facevano i pagani…
E tuttavia siamo chiamati a vivere questo giorno cogliendone il messaggio profondo: lo viviamo nella fede che il Signore crocifisso è vivente in mezzo a noi ma, discernendo all’interno del triduo pasquale il secondo giorno come giorno di silenzio, di attesa, del non detto, noi assumiamo una dimensione che ci abita sempre e che alcune volte – nella vita nostra, o degli altri o di interi popoli – è la dimensione durevole, non momentanea, non passeggera.
Sabato santo, giorno dopo la morte, tempo in cui davanti ai discepoli c’era solo la fine della speranza, un’aporia, un vuoto su cui incombeva il non senso, l’insopportabile dolore, la lacerazione di una separazione definitiva, di una ferita mortale: Dov’è Dio? E’ questa la muta domanda del sabato santo. Dov’è quel Dio che era intervenuto al battesimo di Gesù, aprendo i cieli per dirgli: “Tu sei mio figlio, di te provo molta gioia” (Mc 1,11)? Dov’è quel Dio che era intervenuto sull’alto monte, nell’ora della trasfigurazione con Mosè ed Elia e aveva esclamato: “Ecco mio figlio, l’amato!” (Mc 9,7)?
“Dov’era Dio ad Auschwitz?”. “Dov’era Dio nel genocidio dei cristiani nel mondo? “In Te – ha detto Papa Francesco ricordando i cristiani perseguitati – vediamo i nostri fratelli decapitati e crocifissi sotto i nostri occhi complici”
Domande tragiche, cariche di angoscia, che nascono nel cuore di chi vorrebbe che Dio intervenisse, lui il Signore della storia, per impedire che il povero sia distrutto dal potente, che l’innocente sia ucciso dall’empio! Ma non a caso questa domanda su Dio è ripetuta tante volte nei salmi da parte degli idolatri che, soprattutto nell’ora dell’angoscia, si rivolgono al credente chiedendogli: “Dov’è il tuo Dio?”. Papa Francesco ci chiede: “Dov’è l’uomo davanti ai massacri dei cristiani, dei credenti?.
E’ l’uomo che è morto, è l’uomo che non ha saputo reagire: il grande silenzio che avvolge i genocidi dei cristiani è silenzio di uomini, di popoli, di governi, purtroppo anche di uomini che si dicono credenti… In verità, il Dio degli ebrei e dei cristiani è contrassegnato proprio dall’essere un Dio che parla, un Dio sempre in dialogo con l’umanità, un Dio che costantemente rivolge il suo invito: “Shema’, ascolta, ascoltate!”; non è idolo che “ha bocca ma non parla, ha orecchi ma non ascolta”. Sono gli uomini che lo accusano di silenzio, piuttosto di riconoscere di essere loro ad avere le orecchie aperte per altre parole, per altri messaggi, per altri inviti. Neppure nel giorno dell’uccisione di Gesù, suo Figlio inviato nel mondo, Dio si è disgustato dell’umanità fino ad abbandonarla.
Si è vero che nell’ora della croce Dio “non è intervenuto”, a tal punto che Gesù si è sentito abbandonato da lui e glielo ha gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34). Ecco, un giorno intero passa e non c’è intervento di Dio… Eppure Dio non ha abbandonato il Figlio, Gesù: se l’abbandono appare l’amara verità per i discepoli, Dio in realtà ha già chiamato a sé Gesù, anzi, lo ha già risuscitato nel suo Spirito santo e Gesù vivente è agli inferi ad annunciare anche là la liberazione. “Discese agli inferi” confessiamo nel Credo. Ecco ciò che nel nascondimento avviene al sabato santo: giorno vuoto, silenzioso per i discepoli e per gli uomini, ma giorno in cui il Padre – che “opera sempre” (cf. Gv 5,17), come ha detto Gesù – attraverso di lui porta negli inferi la salvezza.
Come Giona nel ventre del pesce per tre giorni e tre notti (cf. Mt 12,40), così anche Gesù dalla croce fu deposto nella tomba e, da lì, discese ancora, agli inferi, allo sheol dove dimorano i morti.
Cari tutti, prima o poi c’è un sabato santo per ciascuno di noi. In quell’ora non dimentichiamoci queste parole: “Dio veramente era qui accanto a me, ma io non lo sapevo!” (Genesi 28,16). Nell’attesa della Pasqua, impariamo ad ascoltare il silenzio del sabato santo.
Carmine Tabarro