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La “notte oscura” in Giobbe e e di alcuni autori cristiani ed ebrei (seconda parte)

comshalom

Stiamo riflettendo sulla “notte oscura” alla luce del libro di Giobbe e di autori spirituali cristiani ed ebrei.

In questo cammino, come avevo promesso, voglio offrirvi anche altre interpretazioni del “silenzio di Dio” che completano l’insegnamento di Giovanni della Croce (cfr. Compieta di ieri).

E traggo questi significati da un testo che è stato scritto come documentazione di un colloquio che è avvenuto nel 1992 presso la Cattedra dei non-credenti , diretta allora a Milano dal Cardinale Martini, e che è stato pubblicato con il titolo “Chi è come te tra i muti? Chi è come te tra i silenziosi?

 L’uomo di fronte al silenzio di Dio”.

Il Card. Martini fece riflettere sul tema del silenzio di Dio diversi studiosi, ebraici e cristiani, che con grande sapienza hanno articolato tutti i possibili significati del “silenzio di Dio” che si possono trarre dalla Scrittura. Un rabbino , ad esempio, traduce il versetto 15.11 di Esodo “Chi è come te tra gli dèi?”

 (Elim) con “Chi è come tè tra i muti?” (Illemim). Illem vuoi dire muto, El vuoi dire divinità.

È caratteristica del modo di fare esegesi del midrash ebraico scavare nella parola, in tutti i significati anche più particolari della parola. Allora, il: “Chi è come te tra gli dèi?” diventa: “Chi è come te tra i muti?”. Questa interpretazione ci offre un primo significato del “silenzio di Dio”.

La potenza della parola di Dio viene accostata al silenzio, alla presenza di Dio nel silenzio, come nel Libro dei Re in cui è scritto: “Non è nel fuoco il Signore; e, dopo il fuoco, una sottile voce di silenzio” (I Re 19,11-13). Così commenta Benedetto Carucci Viterbi, rabbino della comunità ebraica romana: “La voce che non si è interrotta è una tenue voce di silenzio che prosegue all’infinito. E non a caso il luogo deputato, sia per Mosè che per Elia, è il deserto: midbar, il luogo del silenzio che contiene dentro di sé la Parola, davar, e le Dieci parole, ‘aseret ha-dibberot”.

Ecco allora un primo significato del silenzio di Dio, il silenzio come una condizione di nascondimento in cui solo è possibile incontrare Dio. “La voce commenta ancora il rabbino- è una sottile voce di silenziò e Dio è nascosto; quale che sia il motivo, è nascosto e fa parte della nostra identità l’esperienza del nascondimento di Dio.

Il Talmud afferma che chiunque non è nella condizione del nascondimento di Dio, chiunque non è testimone del silenzio non fa parte del popolo di Israele”.

A questo si congiunge un altro significato del silenzio di Dio: quello di cercare la flebile voce del silenzio che rimbomba. Dove rimbomba? Nella Torah, nella Scrittura. È  lì il luogo della voce silenziosa di Dio.

Sono gli uomini di ogni generazione che, studiandola, cercando di comprenderne il senso, i sensi, con le loro parole svelano il significato di quella voce. La voce di Dio che si nasconde nel silenzio, la Parola di Dio ha bisogno della voce degli uomini per diventare vita. C’è una bellissima frase del commentario di San Gregorio Magno che dice così:: Divina eloquia cum legente crescunt – Le divine parole crescono (e diventano vita) con colui che le legge (le ascolta, le assimila, le medita, le vive). Scrive ancora un ebreo:

“I maestri d’Israele, nelle più tremende sofferenze, come sotto l’occupazione romana o nei campi di sterminio, hanno sempre continuato a studiare la Parola di Dio, nella convinzione che questo era l’unico modo, delle loro generazioni, di ascoltare la voce di Dio”. Ecco un modo per rompere il silenzio di Dio: ascoltare la voce e la parola della Scrittura, questa splendida voce nel silenzio.

Anche per noi cristiani è vero che se non siamo capaci di ascoltare la parola di Dio nel silenzio forse non riusciamo mai ad ascoltarla veramente. Il silenzio è la condizione del credente e spirituale che ci permette di incontrare autenticamente la sottile voce del silenzio, la sottile voce della parola di Dio che ci parla.

Carmine Tabarro


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