Sant’ Aurelia nacque in Alessandria d’ Egitto negli anni 40 del terzo secolo e fu martire sotto Valeriano, assieme a numerosi esponenti della sua famiglia: i quattro cugini Adria, Paolina, Neone e Maria, la madre Martana e una zia.
Del padre di lei la storia non parla e di lui ci è taciuto anche il nome, forse perché perso in tenera età, ma del resto i primi anni della sua stessa vita ci sono quasi totalmente ignoti e sappiamo solo che fu la madre l’ unica sua educatrice alla virtù e alla religione cristiana.
Giunse però a madre e figlia in Alessandria la notizia che i cugini Adria e Paolina, coi loro figli, avevano in Roma subito il martirio e immediatamente le due donne, sistemati i loro affari in Alessandria, si misero in viaggio verso la capitale dell’ Impero, spinte dal desiderio di onorare quei gloriosi campioni della fede e di stabilire la loro dimora presso i loro sepolcri, nelle catacombe di san Sebastiano.
Tra i frequentatori di queste catacombe vi era un giovane romano, ancora pagano, di nome Clodio Dionisio, di nobile stirpe, che annoverava tra i suoi congiunti cavalieri e senatori. Affascinato dalla bellezza e dalla virtù di Aurelia, stimandosi felice di averla per compagna della sua vita, la chiese in sposa. Le trattative tra la madre di lei Martana – al cui saggio consiglio Aurelia si era rimessa- e i genitori di Clodio Dionisio furono, in pochi giorni concluse, e Aurelia ricevette dalle mani di Dio quel giovane che il Signore le destinava a sposo.
Dai documenti storici pervenutici, ai quali dà irrefragabile conferma l’ esame medico dei suoi resti mortali, possiamo asserire che Aurelia non aveva più di sedici anni quando andò in sposa a Clodio Dionisio e diede, pochi mesi dopo il suo matrimonio, il sangue e la vita per amore di Gesù Cristo.
Il marito Clodio era ancora pagano quando contrasse in suo matrimonio, ma non potè a lungo desistere alle attrattive della santità della sua consorte e, poco dopo il suo matrimonio, ricevette il battesimo e si fece pure lui cristiano.
Forse per invidia di qualche rivale di Clodio, forse per cupidigia di qualche suo parente, che avrebbe beneficiato dei beni di quella nobile famiglia, qualora fosse stata spenta, allo spirare dell’ impero di Valeriano (che cadde prigioniero di Sàpore I re di Persia), e prima che il figlio di lui Gallieno ponesse fine alla persecuzione contro i cristiani, Aurelia, assieme alla madre e a una zia, fu accusata di professare il credo cristiano.
Fu dunque tradotta in tribunale, di fronte al giudice Secondiano, il quale non lesinò promesse di onori e di agiatezze, purchè bruciasse l’ incenso agli idoli, ma tutto fu vano e Aurelia perseverò nella sua fedeltà a Cristo, venendo quindi condannata a morte per decapitazione. Dovette anche assistere a un supplizio ancora peggiore: veder decapitare, il giorno precedente alla sua esecuzione, la madre e la zia.
Il giorno seguente, 2 dicembre del 260, Aurelia fu tratta dal carcere e, condotta là ove giacevano, stesi al suolo, i corpi decollati della madre e della zia, e con un colpo di spada le fu spiccato il capo dal busto.
Clodio Dionisio, ottenuto a peso d’ oro d’ avere il sacro corpo della martire sua sposa, lo ripose in una bella tomba di marmo bianco, nel Cimitero di Priscilla, con accanto un’ ampolla piena del sangue di Aurelia, come usavasi, in segno del sofferto martirio. E questa tomba fu, finchè visse, oggetto delle sue cure più assidue e meta dei suoi quotidiani pellegrinaggi. Ma temendo che, a causa del trascorrere degli anni, venisse a smarrirsi la memoria di quel prezioso sarcofago, o che il corpo avesse in seguito a confondersi con altri corpi di martiri, coprì il caro avello con una lapide pure di marmo, incidendovi sopra a graffito, come usavasi nelle iscrizioni catacombali, le seguenti parole: Clodius Dionysius Aureliae Alexandriae coniugi benemerenti fecit (Clodio Dionisio pose ad Aurelia d’ Alessandria sua benemerita consorte).
Dopo 1500 anni , il Cardinale Vittorio Amedeo delle Lanze, abate commendatario dell’ abbazia di Fruttaria in San Benigno Canavese, assai influente a Roma, ottenne il permesso dal pontefice Clemente XIII di raccogliere, il 13 novembre 1758, il corpo della santa assieme ai frammenti del vaso del sangue e alla pietra sepolcrale, destinandola alla sua cappella privata. Con la consacrazione della chiesa parrocchiale di Montanaro, terra dipendente materialmente e spiritualmente dall’ abbazia, avvenuta nel 1765, il corpo della santa fu donato alla suddetta comunità e traslato nella nuova chiesa, ove si trova tutt’ ora.
Autore: Don Giuseppe Ponchia