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Abbiamo bisogno di una tempesta per riconoscere la divinità di Gesù?

Apparentemente, riconosciamo l’azione di Dio solo quando siamo nella tempesta e interviene.

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Foto: Unsplash

Cristo calma la tempesta e i discepoli sono “stupiti” (cfr Mt 8,27), cioè “colmi del timore di Dio”. L’espressione greca che l’evangelista Matteo usa è ethaumasan (ἐθαύμασαν), che è la coniugazione del verbo thaumazó (θαυμάζω). Questo verbo appare quarantaquattro volte nel Nuovo Testamento e può essere tradotto come “sorpreso”, “impressionato”, “impattato”.

Nel contesto biblico, è generalmente usato per descrivere la reazione a una manifestazione divina, quindi sembra che la “sorpresa” o “stupore” provenga dal riconoscimento delle “meraviglie di Dio”. In effetti, “meraviglia” in greco è thauma (θαυμάζω) ed è da questa parola che appare il verbo thaumazó (θαυμάζω).

Dio si trova anche nella tranquillità?

Nel passaggio della tempesta calma, i discepoli sono “meravigliati”, “sorpresi” o “spaventati” perché riconoscono la divinità di Gesù quando dimostra la sua autorità sulla natura.

Ora, in altri degli innumerevoli viaggi riportati dalle Scritture che il Collegio Apostolico fece con il suo Maestro di barca (cfr Mc 1,2-20; Jo 6,1), il mare era calmo, non aveva venti forti né tempeste. In nessuno di questi casi c’è un riconoscimento della divinità di Gesù. I discepoli non furono “stupiti” perché passarono dall’altra parte del mare sani e salvi, senza grosse difficoltà.

La domanda è: il Signore ha agito anche in quelle occasioni? Furono anche quei viaggi tranquilli e senza problemi una manifestazione della cura di Dio? Sicuramente si.

Dio è sempre con noi (cfr. Mt 28,20; Gios 1,9), ci conduce nelle acque tranquille (cfr Sal 23, 22, 2), si prende cura di noi e non ci lascia mai. (cfr Dt 31, 8).

Non solo nelle tempeste della vita, ma anche nella brezza leggera, Dio si manifesta (cfr. 1 Re 19:12).

Chi stiamo veramente cercando?

A quanto pare, riconosciamo l’azione di Dio solo quando siamo nella tempesta e interviene. Altrimenti, difficilmente lo consideriamo ai nostri giorni. Quando siamo nei guai, nel mezzo del discernimento, quando siamo in cattive condizioni di salute o qualcuno che ci sta vicino soffre, è allora che chiediamo, supplichiamo, ci inginocchiamo e investiamo tempo nella preghiera e nelle varie pratiche di pietà.

Tuttavia, quando stiamo “bene”, non preghiamo (e se lo facciamo, non lo facciamo con molto impegno); dimentichiamo confessione e messa: non ricordiamo che Gesù Eucaristico ci aspetta nella cappella per essere adorato. Questo comportamento evidenzia la nostra indifferenza verso Colui che ci ama così tanto.

Cerchiamo ancora “i miracoli di Dio” e non “il Dio dei miracoli”.

Non aspettare la tribolazione: riconosci l’amore nell’ordinario della vita

Sembra che abbiamo bisogno di una tempesta per gridare: “Signore, salvaci! Stiamo morendo! ”, senza renderci conto che l’indifferenza verso Dio è una morte peggiore di qualsiasi tribolazione e tempesta che può minacciarci.

Se stai attraversando il mare e appare una grande tempesta, non aver paura! Fidati di Dio! Lui ha potere su tutto! Lui è con te!

Se stai attraversando il mare con apparente calma, elogia! Ringrazia! E non dimenticare Colui che bussa alla porta (cfr Ap 3, 20), desiderando di entrare sempre di più nella tua vita.

Non temere, come discepolo, di camminare in ogni circostanza accanto al Maestro.

Traduzione: Valeria Cerroni


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