Formazione

È bello essere perdonati

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di INOS BIFFI

«Pensiamo che è bello essere santi, ma anche bello è essere perdonati».
Questa espressione di un’omelia di Papa Francesco sulla bellezza di es-sere perdonati richiama da vicino alcune espressioni sorprendenti di sant’Ambrogio e, soprattutto, la sua teologia della misericordia, che lascia sbalorditi.
Per il vescovo di Mi-lano il perdono è il motivo per cui Dio ha fatto il mondo e particolar-mente ha creato l’uomo. Ai suoi oc-chi il peccato non ha la competenza di decidere e di riuscire, ed è già, in certo modo, preventivamente perdo-nato e sciolto. Anzi, paradossalmen-te, egli ritiene che il peccato ha una sua positività, servendo per l’esalta-zione dell’opera autentica cui Dio mirava, che non è la pura creazione, bensì la redenzione della creazione, che è evento incomparabilmente più stup endo. Incominciamo col citare il suo testo più stupefacente e più rivelatore, dove l’amore misericordioso appare come sostanza e la causa di ciò che ha creato. Ambrogio sta terminando il commen-to all’opera dei sei giorni e osserva: «Il Si-gnore Dio nostro creò il cielo e non leggo che si sia riposato; creò la terra e non leggo che si sia riposato; creò il so-le, la luna le stelle, e non leggo nemmeno al-lora che si sia riposato; ma leggo che ha creato l’uomo e che a questo punto si è riposato, avendo un essere cui ri-mettere i peccati» (E x a m e ro n , VI, IX, 10, 76). L’uomo, quindi, «preziosissima opera di Dio (pretiosissimum opus Dei)» (Expositio Psalmi CXVIII, 10, 6) — «senza del quale il mondo sa-rebbe risultato vano» (Ibidem, 10, 7) — è con-cepito e voluto da Dio fin dal principio come “essere perdonabile”, anzi, come un essere “da perdonare”. Nel suo disegno misterioso e imperscrutabile il tratto divino che Dio vuole evidenziare e ri-velare, e in cui ridurre tutti gli altri a unità, è l’amore misericordioso, o l’amore che perdona. Il Cristo redentore o il Cristo crocifisso appare, così, la ra-dice per cui Dio — unicamente per grazia — chiama dal nulla l’uomo e tutti altri esseri. Ecco perché quando si esercita la misericordia si fa festa in cielo: la creazione raggiunge allo-ra il suo fine e la sua gloria. Ambrogio arriva ad affermare: «Dove si tratta di elargire la grazia, là Cristo è presente; quando si deve esercitare il rigore, sono presenti so-lo i ministri, ma Cristo e assente» (DE ABRAHAM, 1, 6, 50). L’assenza della misericordia corrisponde all’as-senza di Gesù Cristo. E il Cristo di Ambrogio è specialmente il medico, che cura le ferite dell’anima. «An-ch’io — egli riconosce — ero piagato dalle passioni: ho trovato un medi-co, che abita in cielo ed effonde la sua medicina sulla terra: egli solo può risanare le mie ferite, perché non ne ha di proprie. Egli solo può cancellare il dolore del cuore, il pal-lore dell’anima, poiché conosce i mali nascosti» (Expositio evangelii se-cundum Lucam, V, 27). «Scopri al medico — esorta il vescovo — la tua ferita, per poter guarire. Anche se non la mostri, egli la conosce, e tut-tavia attende di sentire la tua voce. Cancella le tue cicatrici con le lacri-me: così la donna nel Vangelo can-cellò il suo peccato e allontanò il fe-tore delle sue colpe» (De paenitentia, II, 66-67). E ancora, il Cristo che sant’Am-brogio si compiace di rievocare è il Cristo che guarda Pietro e ne riem-pie gli occhi di pianto salutare. Am-brogio non esita a confessarsi, quan-do pensa allo sguardo del Signore, sommamente e continuamente desi-derato — ad affascinarlo, di Cristo, è particolarmente lo sguardo — e non è difficile immaginare la sua conver-sione come un’esperienza intensa di questa carità misericordiosa, che tra-sfonderà nei suoi inni, perché i suoi fedeli la imprimano nella memoria e nel cuore. E con la figura di Pietro in lacrime, a fissare l’ammirata con-siderazione di sant’Ambrogio è quella del ladro che, morendo perdona-to, passa in un attimo nella vita e nel regno, dal momento che «la vita consiste nell’essere con Cristo, poi-ché dove c’è Cristo, là c’è il regno» (Expositio evangelii secundum Lucam, X, 121). E canta nell’inno pasquale (Hic est dies verus Dei): «Agli smar-riti Dio ridonò la fede; ridiede luce, con la vista, ai ciechi. Chi sarà anco-ra oppresso da timore dopo il per-dono al ladro? Questi mutò la sua croce in un premio, Gesù acquistan-do con rapida fede; così, giustifica-to, arrivò primo nel regno di Dio. Persino gli angeli ne stupiscono, contemplando lo strazio delle mem-bra, e, tutto stringendosi a Cristo, il reo carpire la vita beata». La visione cristiana e pastorale di Ambrogio, per il quale il Signore Gesù si fa trovare anche da chi terri-bilmente ritarda — non ha nulla di deprimente: la sua concezione cri-stiana rasserena e infonde fiducia, proprio perché tutta affidata alla «tanta pietas» del Signore Gesù. E viene in mente l’espressione del Pa-pa, ricordata all’inizio, quando ascoltiamo il vescovo di Milano af-fermare: «Beata la caduta, che da Cristo viene in meglio riparata (Fe l i x ruina, quae reparatur in melius)» (Explanatio PsalmiXXXIX, 20); «O felice colpa, che meritò di avere un così qualificato e così grande reden-tore! Non ci sarebbe stata di vantag-gio la creazione, se ci fosse mancato il beneficio della redenzione»: paro-le in qualche manoscritto medievale cancellate o mancanti, perché ritenu-te eccessive. Egli dice ancora: «Non mi glorierò perché sono giusto, ma mi glorierò, perché sono redento. Mi glorierò non perché sono vuoto di peccati, ma perché i peccati mi sono rimessi. È più proficua la colpa dell’innocenza. L’innocenza mi ave-va reso arrogante, la colpa mi ha re-so umile» (De Iacob, 1, 6, 23). Rivolgendosi poi a Cristo non esi-terà a dichiarare: «Signore Gesù, sono più debitore alle tue sofferenze, per le quali sono stato redento, che non alla potenza delle tue opere, per le quali sono stato creato. Non sarebbe stato utile na-scere, se non avessi avuto il vantaggio della redenzione» (Expositio evangelii secundum Lu-cam, II, 41-42). E in ul-timo passo: «Anche la colpa dei santi è utile: Non mi ha nociuto per nulla la negazione di Pietro, mentre mi è sta-to di vantaggio il suo ravvedimento» (Ibidem, X, 89). Istituito così il Cristo misericordioso nel suo primato, Am-brogio è soprattutto a lui che si affida e che affida il ministero della Chiesa e la speranza degli uomini. Ed è la vicissitudine di Pietro — che, dopo aver rinne-gato, allo sguardo di Cristo piange e si rav-vede — che ritorna per animare la confidenza per sé e per i suoi fede-li, ai quali ogni giorno, nell’inno «al canto del gallo» (Aeterne rerum conditor), rievocava quel pianto e quel per-dono: «Il gallo canta. La sua voce placa il fu-rioso fragore dell’onda; e Pietro, roccia che fonda la Chiesa, la colpa asterge con lacrime amare». E dalla narrazione passa alla preghie-ra: «Gesù Signore, guardaci pietoso, quando tentati incerti vacilliamo: se tu ci guardi, le macchie dileguano e il peccato si stempera nel pianto»; «Guarda anche noi, Signore Gesù, affinché anche noi riconosciamo i nostri errori, laviamo con lacrime di pentimento la nostra colpa, meritia-mo il perdono dei peccati» (Exame-ro n , V, VIII, 89). «Le lacrime lavino la colpa, che è vergogna confessare con la voce. Lacrime eccellenti, per-ché lavano la colpa. Del resto coloro che Gesù guardano, si mettono a piangere» (Ibidem, 90). In particolare nel De paenitentia troviamo la teologia, la spiritualità e la pastorale della misericordia secon-do sant’Ambrogio, insieme — p o-tremmo dire — con le sue confessio-ni, commosse, pur nel loro riserbo. È un messaggio di fiducia: «Cristo verrà alla tua tomba, e se vedrà piangere per te Marta, donna impe-gnata in un premuroso servizio, Marta, che ascoltava attentamente la parola di Dio, come la santa Chiesa, che ha scelto per sé la parte miglio-re, sarà mosso a compassione» (De paenitentia, II, 52). Ed ecco nuova-mente la preghiera: «Signore Gesù, con piena fiducia sono venuto alla tua Chiesa. Manda i tuoi servi ai crocicchi delle strade, raccogli i buo-ni e i cattivi, fa’ entrare nella tua di-mora storpi, ciechi e zoppi. Coman-da che essa sia strapiena, introduci tutti alla tua cena: tu renderai degno chi inviterai e ti avrà seguito. Man-da a invitare tutti. La tua Chiesa non declina l’invito al tuo banchet-to. La tua Chiesa confessa le sue fe-rite e vuole essere curata. Anche tu, Signore, desideri guarire tutti e nel più debole di noi esperimenti la no-stra infermità» (Ibidem, I, 30-32). Ma specialmente commovente è questa invocazione: «Soprattutto concedimi la grazia di condividere con intima comunione il dolore dei peccatori: questa è la virtù più alta. Ogni volta che si tratti del peccato di uno che è caduto, concedimi di provarne com-passione, di non rimproverarlo altez-zosamente, ma di gemere, di piange-re con lui, così che, mentre soffro per un altro, io pianga su me stesso, dicendo Tamar è più giusta di me» (Ibidem, II, 73). Paolino scrive nella sua Vita di Ambrogioche il vescovo «ogni qualvolta uno, per ricevere la penitenza, gli confessava le sue col-pe, piangeva in modo tale da indur-re anche quello al pianto; gli sem-brava infatti di essere caduto insie-me con quello che era caduto pec-cando» (Vita Ambrosii, XXIX, 1).

© Osservatore Romano – 7 aprile 2013


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