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Fare tesoro dell’anno trascorso per viviere l’anno che entra con il senso del limite‏

comshalom

“Un’ordinaria visita ai cimiteri – diceva il Papa – ci potrebbe aiutare a vedere i nomi di tante persone, (…) alcuni forse pensavano di essere immortali, immuni e indispensabili! È la malattia del ricco stolto del Vangelo che pensava di vivere eternamente”. Dal discorso di Papa Francesco  alla Curia romana il 22 dicembre scorso.

Forse per i più non è bello fare tesoro del cammino fatto con il Signore nell’anno che sta per chiudersi con queste  dure parole di Papa Francesco.

Invece proprio alla vigilia dei festeggiamenti per l’anno trascorso e davanti al passaggio all’anno nuovo, il segno dell’allegria non deve cadere nella superficialità, nel vuoto, nel pagano, per tale motivo penso sia utile tornare a riflettere sulla prima delle malattie denunciate dal Papa:  l’illusione dell’immortalità.

Devo essere onesto ogni anno in questo giorno mi sento in distonia con molti: tra poche  festeggeremo un anno che se ne va e un altro che arriva e, senza la consapevolezza piena che stiamo celebrando la nostra provvisorietà.

So che chi avrà la bontà e la pazienza di leggere queste righe mi appellerà come guastafeste, ma la verità è questa: mangeremo, brinderemo, faremo sacrifici pagani (come mangiare tante lenticchie auspicio di tanti soldi) all’anno nuovo e intanto, lentamente, ma inesorabilmente, il tempo scivola via per il “tempo finale”. Questo è l’unico vero “tempo” che  dovrebbe interessarci – ci avviciniamo all’incontro finale e definitivo con il Signore.

Noi che vogliamo essere immortali, per quanto ci possiamo ubriacare di emozioni (lecite e illecite) nella notte dell’ultimo dell’anno, stiamo inneggiando al tempo che si consuma e che ci consuma.

L’omologazione tecnonichilista ci ha talmente stordito, togliendo dal nostro cuore il tempo di Dio, la croce, la vera gioia, il vero amore, la donazione gratuita ecc., che questa verità ci sembra difficile da accettare.

In una parola è difficile accettare che sotto il profilo esistenziale e temporale siamo tutti precari.

Non è stata questa la prima tentazione che Gesù ha affrontato nel deserto?

Dall’ultimo “scarto umano”(Papa Francesco) al banchiere statunitense, davanti al tempo chrónos, siamo tutti uguali. Punto.

Non cosi nel tempo kairós, cioè il tempo esistenziale, personale, colmo di eventi, emozioni e pensieri (un’ora di una noiosa conferenza e un’ora con la persona amata hanno un identico chrónos ma un ben diverso kairós!).

 Allora di quale tempo stiamo parlando?

Agostino nelle Confessioni (al tema ha dedicato diverse illuminati pagine) afferma: “Che cos’è il tempo? Se nessuno me lo domanda, lo so. Se voglio spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so più!”.

Per Jorge Luis Borges nella sua opera Altre inquisizioni (1952), così declinava il tempo: “Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume; è la tigre che mi sbrana, ma io sono la tigre; è il fuoco che mi divora, ma io sono il fuoco”. Il grande letterato vive il tempo come fiume, tigre e fuoco ma non come  un nemico esterno a lui, il tempo è in lui, nel suo intimo, nel suo essere creatura fragile e finita, si sente la sua intimità cristiana, nonostante abbia sempre rivendicato la sua laicità.

Gramsci da marxsista nelle Lettere dal carcere, definiva il tempo-chrónos “un semplice pseudonimo della vita”; è l’essenza dell’esistenza, è sempre in noi, qualcosa di noi. Per questo facciamo di tutto per ignorarlo. Forse Gramsci meglio di tanti altri ha interpretato la cultura del tempo senza speranza di un tempo-chrónos senza un oltre.

Come denunciato da Papa Francesco, la “grande amnesia” di oggi consiste nel continuare a pensare che “abbiamo tempo”, anziché renderci conto del fatto che “siamo tempo”.

Uno dei segni più vistosi di questo “Alzheimer collettivo” è l’abitudine a programmare il domani come se fossimo padroni del chrónos, stipulando assicurazioni, ipotecando il futuro come se fosse nostra proprietà.

E la pubblicità fa di tutto per convincerci della nostra terrena immortalità: dalla crema anti-rughe al lifting, dalle polizze anti-tutto agli 8 airbag, dalle porte blindate all’avidità patologica, tutto è pensato come se la nostra vita fosse definitivamente ancorata a questa terra.

È una malattia tipica delle società omologate dalla cultura dell’immortalità intramondana, laddove i consumi anestetizzano (o cercano di farlo) la percezione del tempo che scorre ineluttabilmente.

Si fa un gran parlare di energie rinnovabili, delle risorse a rischio del pianeta; peccato che pochi si interroghino sul più prezioso e meno rinnovabile dei tesori dell’uomo: il tempo- kairós. Come mai?

 Il tempo-kairós per i  cristiani  invece non vuole toglierci il sonno ma, in realtà, vuole toglierci dal cuore, dalla ragione,  la superficialità, le meschinità e farci pensare più spesso alle parole di Cristo: “Tenetevi pronti, perché il Figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate” (Luca 12,40).

Shalom!

Carmine Tabarro


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