Papa Francesco il 7 febbraio scorso ha ricevuto in Udienza, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico, i partecipanti all’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura.
Già l’incipit del discorso si comprende quanto il Santo Padre tiene al ruolo della donna nella Chiesa e nella società: “L’argomento che è stato da voi scelto mi sta molto a cuore, e già in diverse occasioni ho avuto modo di toccarlo e di invitare ad approfondirlo. Si tratta di studiare criteri e modalità nuovi affinché le donne si sentano non ospiti, ma pienamente partecipi dei vari ambiti della vita sociale ed ecclesiale. La Chiesa è donna, è la Chiesa, non il Chiesa. Questa è una sfida non più rinviabile. Lo dico ai Pastori delle comunità cristiane, qui in rappresentanza della Chiesa universale, ma anche alle laiche e ai laici in diversi modi impegnati nella cultura, nell’educazione, nell’economia, nella politica, nel mondo del lavoro, nelle famiglie, nelle istituzioni religiose”. Queste parole del Papa trovano profonde radici bibliche. I Vangeli sono affollati di donne, dalle suocere alle ragazzine, da donne dalle storie tormentate a donne limpide: c’è un orizzonte femminile attorno a Gesù veramente significativo e il Papa spera che quest’orizzonte si allarghi e sia sempre più incisivo nella Chiesa e nella società.
Il problema della donna, ha detto il Papa, “non va affrontato ideologicamente, perché la lente dell’ideologia impedisce di vedere bene la realtà. Papa Francesco ha denunciato due modelli sbagliati dei rapporti tra uomini e donne, affermando che è tempo di cercarne un terzo. Il primo è quello della “subordinazione sociale della donna all’uomo”, fenomeno quasi sparito nelle società occidentali, ma che altrove continua a produrre “effetti negativi”. Il secondo, non meno sbagliato, è quello “della pura e semplice parità, applicata meccanicamente, e dell’uguaglianza assoluta”. Sbagliato anche questo, perché uomo e donna “posseggono, sì, un’identica natura, ma con modalità proprie”. Occorre dunque “un nuovo paradigma, quello della reciprocità nell’equivalenza e nella differenza”, valorizzando la differenza fra uomo e donna come cosa buona e parte del piano di Dio. La donna, infatti, è caratterizzata dalla “generatività” che allarga “l’orizzonte alla trasmissione e alla tutela della vita” e si estende a tante forme educative e pastorali. Si può così “descrivere la dimensione femminile della Chiesa come grembo accogliente che rigenera alla vita”.
Questa dimensione femminile, indispensabile, della Chiesa e della società è negata quando le donne sono vittime di “dolorose ferite inflitte, talvolta con efferata violenza” e quando il corpo femminile è “aggredito e deturpato anche da coloro che ne dovrebbero essere i custodi e compagni di vita” e ridotto “a puro oggetto da svendere sui vari mercati”. Alla donna vanno offerti nuovi spazi nella società e anche nella Chiesa. Ma nello stesso tempo, ha detto il Pontefice, “non si può dimenticare il ruolo insostituibile della donna nella famiglia”. Le doti femminili, infatti, “rappresentano non solo una genuina forza per la vita delle famiglie, per l’irradiazione di un clima di serenità e di armonia, ma anche una realtà senza la quale la vocazione umana sarebbe irrealizzabile”. Promuovendo le donne nella vita pubblica occorre “al tempo stesso mantenere la loro presenza e attenzione preferenziale e del tutto speciale nella e per la famiglia”.
I drammi e le opportunità delle donne e delle famiglie si ripropongono nelle grandi città di un mondo dove ormai più di metà della popolazione mondiale vive nelle grandi città, tema oggetto della plenaria del Consiglio dei laici e del relativo discorso di Francesco. Il fenomeno della megalopoli, ha detto il Papa, coinvolge ormai “più della metà degli uomini del pianeta”. Le città “presentano grandi opportunità e grandi rischi: possono essere magnifici spazi di libertà e di realizzazione umana, ma anche terribili spazi di disumanizzazione e di infelicità”. Il fenomeno è, in una parola, ambiguo. “Sembra proprio che ogni città, anche quella che appare più florida e ordinata, abbia la capacità di generare dentro di sé un’oscura anti-città. Sembra che insieme ai cittadini esistano anche i non-cittadini: persone invisibili, povere di mezzi e di calore umano, che abitano non-luoghi, che vivono delle non-relazioni. Si tratta di individui a cui nessuno rivolge uno sguardo, un’attenzione, un interesse. Non sono solo gli anonimi; sono gli anti-uomini. E questo è terribile”.
Spesso ci concentriamo su altri problemi, senza vedere come miliardi di persone abitino nelle città,o meglio nelle “anti-città” e siano spesso lontanissime dalla Chiesa. È questa la prima urgenza dell’evangelizzazione. Dio “non ha abbandonato la città”, anzi Dio “abita in città”. “Sì, Dio continua a essere presente anche nelle nostre città così frenetiche e distratte! È perciò necessario non abbandonarsi mai al pessimismo e al disfattismo, ma avere uno sguardo di fede sulla città, uno sguardo contemplativo che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze. E Dio non è mai assente dalla città perché non è mai assente dal cuore dell’uomo!”. Per incontrare Dio le masse della megalopoli devono però incontrare i cristiani. “Nella città”, è la conclusione del Papa, “c’è spesso un terreno di apostolato molto più fertile di quello che tanti immaginano”. Ma è un terreno difficile, dove non si va senza formazione: occorre “curare la formazione dei laici: educarli ad avere quello sguardo di fede, pieno di speranza, che sappia vedere la città con gli occhi di Dio”. Le megalopoli, dove vive la maggioranza della popolazione mondiale, sono il terreno dove si gioca il futuro del mondo e della Chiesa. I preti sono pochi. Servono i laici. Ma servono laici formati.
Carmine Tabarro