Intervista a Moysès, luglio 2009, pubblicata in Polonia da un periodico carmelitano
D: Come è nata la Comunità? Potrebbe descrivercene i primi passi?
R: La nascita della Comunità si lega alla mia storia personale. Sono nato in una famiglia di tradizione cattolica, ma da adolescente mi sono allontanato dalla Chiesa. Volevo essere felice e ricercavo tutto il piacere che la vita poteva offrirmi. A 16 anni, partecipando a un incontro di giovani promosso dall’Arcidiocesi di Fortaleza, la mia città, ho avuto il mio primo significativo incontro con la persona di Gesù Cristo. A 18 anni, quando qualcuno ha pregato per me durante un Seminario di vita nello Spirito, ho vissuto un’esperienza di effusione dello Spirito Santo, che ha rivoluzionato la mia vita. Dopo di ciò infatti ho compreso che Gesù è l’unico capace di rendere veramente felice un giovane, un uomo, chiunque. Ho iniziato a guardare la mia vita in modo nuovo, mai pensato prima. Mi sembrava che prima di allora avessi guardato la vita in bianco e nero, e dopo tutto era divenuto a colori. La mia vita aveva acquistato un senso, o per meglio dire io avevo scoperto il senso della mia vita, insieme alla gioia e alla bellezza di appartenere a Gesù e di avere la Chiesa come famiglia.
Fatta la scoperta del Dio vivo, avevo un grande bisogno di comunicarlo, in particolare ai giovani che come me cercavano la felicità ma non sapevano che aveva un nome e una persona: Gesù Cristo. Sentivo una chiamata urgente ad evangelizzare, soprattutto i giovani e fra loro quelli che sono più lontani da Cristo e dalla Chiesa. Così mi chiedevo: “Come potrei incontrare persone così distanti?”. Era una domanda per me senza risposta. In quel periodo, nel 1980, il Papa Giovanni Paolo II venne a visitare la mia città e il Cardinale Aloisio Lorscheider, arcivescovo di Fortaleza, mi chiese di offrire un dono al Santo Padre, a nome di tutti i giovani dell’Arcidiocesi (che oggi supera i 2 milioni di abitanti). Felice ed onorato, gli chiesi quale dono fosse più appropriato per il Papa. Il Cardinale rispose: “Devi sceglierlo tu!”. Quelle parole mi agitarono. Mi chiedevo cosa mai potessi offrire io, un giovane ventenne, al Santo Padre. La risposta giunse come per ispirazione: “dare tutta la mia vita e la mia gioventù, per evangelizzare i giovani, uomini e donne, lontane da Cristo e dalla Chiesa. Accadde così che il 9 luglio 1980 offrii la mia vita e la mia gioventù a Cristo e alla Chiesa, ai piedi di Giovanni Paolo II. Fu un momento decisivo della mia vita. Il Papa mi attraversò con il suo sguardo, prese la lettera in cui avevo scritto il mio intento e mi toccò il viso. Quando mi allontanai, ero convinto che fosse avvenuto qualcosa di molto particolare in me. Due anni dopo, nacque la Comunità Shalom, in modo semplice ma originale, utilizzando una paninoteca per evangelizzare i giovani.
D: Perché ha pensato di aprire una paninoteca? Come è stata accolta questa idea?
R: Avevamo questa ispirazione: un giovane che non va in Chiesa, che non va a Messa, non accetta un invito per un gruppo di preghiera, ma certamente accetterebbe un invito per andare a mangiare una pizza o un panino o per andare a bere una bibita. Da qui nasce l’idea della paninoteca, per evangelizzare i giovani e le altre persone che arrivavano e si incontravano con noi, giovani come loro che avevano già avuto un’esperienza con Gesù Cristo. L’incontro diveniva un’occasione per testimoniare con allegria e convinzione la nostra fede. I nomi dei panini e delle pizze erano tutti presi dalla Bibbia, per favorire il dialogo legato all’evangelizzazione. All’entrata c’era la paninoteca e dietro una cappella con il Santissimo Sacramento esposto, sempre accompagnato da un gruppo di preghiera in adorazione. Il giorno dell’inaugurazione la casa era piena di tanti giovani che non avevamo mai visto, venuti apposta per conoscere il nuovo locale. Noi organizzatori eravamo un po’ spaventati: senza avere molta esperienza, ci dividevamo tra i tavoli e la testimonianza di vita, tra la cucina e l’adorazione. I giovani restavano incantati dall’originalità della nostra proposta. Non iniziarono soltanto a venire, ma invitarono anche gli amici e i familiari. In poco tempo, eravamo divenuti un popolo.
D: Da una parte una paninoteca e poi l’adorazione al Santissimo… non è un accostamento un po’ “esplosivo”?
R: Certamente esplosiva, nel senso pieno e più spirituale della parola. Passavamo dal pane materiale al pane spirituale. Era impressionante. Erano molti i giovani che venivano da noi senza alcun interesse religioso, che quando vedevano il menu pieno di nomi biblici chiedevano cosa significava “Magnificat” o “agape”. Erano le domande che aspettavamo per iniziare l’evangelizzazione. Su ogni tavolo c’era sempre il Vangelo, in modo che tra la Parola di Dio e un pezzo di pizza, tra una testimonianza di vita e una domanda curiosa, il dialogo potesse concludersi non poche volte nella cappella davanti al Santissimo Sacramento, ricevendo la nostra preghiera. Quante vite sono state trasformate e quante lo sono anche oggi, grazie a quell’incontro esplosivo, reso possibile dallo stesso Dio fatto carne, che si fece ancor più vicino a noi trasformandosi in pane per darci nutrimento.
D: Ci potrebbe parlare del “cammino” dei giovani che incontrate? Si va alla paninoteca e poi… Quando riuscite ad evangelizzare un giovane, cosa succede? Cosa proponete, con che tipo di formazione?
R: Dopo il primo incontro, in cui è testimoniata e annunciata la persona di Gesù, preghiamo per il giovane e lo invitiamo ad iniziare un cammino sulla Parola, attraverso la preghiera e la vita liturgica e sacramentale della Chiesa. Così, la persona è introdotta in quello che chiamiamo “Via della Pace”. Il giovane inizia a frequentare un gruppo di preghiera in cui ogni settimana avrà un’ora di formazione e un’ora di preghiera comunitaria. Questa formazione inizia con il kerigma, passa attraverso la preghiera di intercessione che chiamiamo effusione dello Spirito Santo e prosegue nell’approfondimento della fede e della vita sacramentale, comprendendo una catechesi integrale per la persona. Un simile cammino, fondato sulla Parola di Dio e sul Magistero della Chiesa, è orientato alla formazione dell’intelligenza e del cuore. Non ha un contenuto meramente informativo, ma è un percorso personale quotidiano di preghiera, che porta ad approfondire nella vita ciò che si scopre nel percorso con il gruppo. Ogni giovane è inoltre accompagnato da una persona più matura nella fede.
Lo scopo del percorso è formare i giovani, perché abbiano una vita solida e capace di testimoniare con parresìa Gesù Cristo al mondo di oggi. Ad un certo punto di tale percorso, si presenta chiaramente la riflessione sulla vocazione della persona: in un clima di discernimento spirituale, ognuno è invitato a discernere il suo stato di vita e il suo posto nella Chiesa. Quelli che si sentono chiamati possono intraprendere un cammino più approfondito nel Carisma Shalom, entrando infine nella Comunità di Alleanza (proseguendo le proprie attività, ma assumendo una vita più strettamente legata alla Comunità) o nella Comunità di Vita (abbracciando la vita comunitaria e dedicandosi esclusivamente alla preghiera e alla missione).
D: Dove trovate le forze per svolgere le vostre attività?
R: Credo che le forze ci vengano dal carisma, che il Signore ci ha concesso di vivere. Il nostro carisma si fonda sul Vangelo di Giovanni (20, 19-29). Gesù, il Resuscitato che è passato per la croce, appare ai discepoli e dice: “Shalom!”. L’evangelista ci dice che “mentre Gesù parlava, mostrò loro le mani e il costato”. E’ qui il primo elemento fondante del nostro carisma: la CONTEMPLAZIONE del cuore aperto e resuscitato di Cristo, da cui sgorga la vera e unica pace per il cuore dell’uomo. L’evangelista dice anche che quando Gesù apparve, i discepoli erano riuniti. Questa è la seconda dimensione del nostro carisma: la pace ricevuta attraverso la contemplazione del cuore aperto del Resuscitato si incarna nella nostra vita di carità per mezzo dell’UNITA’. Proseguendo nella lettura del testo biblico, ascoltiamo Gesù che dice: “Come il Padre ha inviato me, anche io mando voi… ricevete lo Spirito Santo”. Incontriamo in queste parole il terzo fondamento del nostro carisma: l’EVANGELIZZAZIONE, la testimonianza di Gesù Cristo, morto e risorto. E’ un annuncio forte, audace e pieno di parresia. La forza della nostra attività risiede nel potere dello Spirito Santo, che ci lascia essere convertiti a Gesù Cristo, lo Shalom del Padre, attraverso un cammino di contemplazione, unità ed evangelizzazione.
D: Siete immersi nella spiritualità carmelitana… come avete “adattato” Santa Teresa? Come vivete il legame con il Carmelo?
R: Lungo il cammino della contemplazione è stata una grande grazia conoscere Santa Teresa di Gesù. Questo incontro è avvenuto in modo particolare. Quando ho iniziato il mio cammino nella fede, un giorno con il nostro Arcivescovo, che era francescano (e anche San Francesco è un pilastro della nostra vocazione) mi ha consigliato di leggere gli scritti di Santa Teresa d’Avila. In seguito, ho ricevuto come regalo da un amico le Opere complete di Santa Teresa. Ho percepito chiaramente che la Provvidenza divina stava agendo. Così, ho cominciato a leggere il Libro della Vita, in cui ho trovato la risposta che cercavo: la preghiera. La via della contemplazione di Santa Teresa mi ha introdotto in una relazione di amicizia e intimità con Dio, in cui ho scoperto la forza dell’amore divino, che mi chiamava alla sponsalità. Ho scoperto in questo modo l’amore sponsale. Santa Teresa mi ha poi fatto conoscere la bella via del Carmelo, con i suoi santi dottori e soprattutto San Giovanni della Croce, Santa Teresa del Bambino Gesù, Santa Benedetta della Croce (Edith Stein) e la beata Elisabetta della Trinità. Nella comunità di proponiamo di trascorrere un’ora quotidiana dedicata alla preghiera personale e un’ora dedicata alla Parola di Dio, partecipando anche all’Eucaristia quotidiana. E’ in una vita pasquale di intimità e sponsalità con Cristo che tutto trova il suo ordine nella nostra esistenza. Attraverso questo cammino abbiamo trovato una via di amicizia e affinità spirituale con il Carmelo, che grazie a molti suoi membri ci aiuta ad approfondire la nostra spiritualità.
D: Una domanda un po’ personale, che ha a che vedere con il suo nome, Moysès. Vede qualche somiglianza tra la sua vita e quella di Mosè? Piacerebbe anche a lei “liberare qualcuno dall’Egitto”? In che modo?
R: Porto il nome di mio padre, sicuramente un nome capace di ispirare. Contemplando la persona di Gesù, lo vediamo come “nuovo Mosè”, che compie il passaggio dalla morte alla vita piena che solo Lui può dare. Nel mondo di oggi vediamo da un lato lo scenario di una società pluralista, secolarizzata e globalizzata, che soffre per i frutti delle sue scelte relativiste, edoniste e consumiste che mettono a rischio i valori essenziali della vita e della famiglia umana. Di fronte a queste sfide, vogliamo affermare che non le affrontiamo con disperazione. Al contrario, riconosciamo che proprio in questo tempo è nata la comunità. Ci rivolgiamo all’umanità del nostro tempo, con i suoi dolori e le sue gioie, attraverso lo sguardo di Cristo che si riempe di compassione davanti alla moltitudine di pecore senza pastore. Siamo attratti verso questa umanità e con allegria e parresìa vogliamo unire la nostra vita a quella di Cristo. Animati dallo Spirito, diamo il nostro contributo al grande e urgente impegno per l’evangelizzazione in questo Terzo Millennio. Come fare? Con coraggio e audacia, con un cuore infiammato dall’amore per Cristo e con compassione per l’umanità, legata a nuove schiavitù. Così, siamo spinti verso l’incontro con le persone nei luoghi dove vivono, convivono, lavorano, soffrono o si divertono, per presentare con creatività di mezzi e linguaggi la felice verità di Cristo e della Chiesa, per trovare i “Tommaso” del nostro tempo che sono lontani dalla Chiesa e non credono che Gesù è vivo. Vedendo, ascoltando e toccando il discepolo, queste persone vedono, ascoltano e toccano Cristo Risorto. Sono colpiti dalla Resurrezione e diventano uomini di fede perfetta, capaci di esclamare: “Mio Signore e mio Dio!” (GV 20, 28). Sono convinto che c’è grande bisogno di annunciare esplicitamente la persona di Gesù Cristo! Ho scoperto che la migliore risposta alla sfida della secolarizzazione si chiama “parresìa”: presentare Cristo con audacia!
D: Quali sono i progetti per il futuro della vostra Comunità?
R: Da quella prima serata nella paninoteca per evangelizzare, dove è nata la nostra Comunità, sono passati 27 anni. La Comunità è cresciuta nei suoi mezzi e nelle forme di evangelizzazione. Oggi siamo circa 4.000 membri effettivi dela Comunità (famiglie, sacerdoti, celibatari per il Regno) e circa 40.000 persone impegnate nell’Opera, in tutto il mondo. Portiamo il Vangelo ai giovani, alle famiglie, ai poveri e utilizziamo i metodi più vari e creativi (centri di evangelizzazione e formazione, eventi di massa, evangelizzazione porta a porta, gruppi di preghiera, pubblicazioni, attività artistiche e musicali, uso dei media, impegno nelle scuole e nelle università ecc.). Siamo presenti oggi in circa 50 diocesi nel Brasile e in più di 15 paesi in America, Europa, Africa e Asia. Nel 2007 la Comunità è stata riconosciuta come Associazione Internazionale di Fedeli dal Pontificio Consiglio per i Laici. Quando abbiamo iniziato, non avremmo mai potuto immaginare dove il Signore ci avrebbe condotto. Tutto è stato un cammino di provvidenza. Anche oggi non possiamo sapere dove il Signore ci condurrà. Da parte nostra, siamo disposti a porre la forza del nostro carisma, il suo impulso missionario, i metodi e gli itinerari di educazione della fede al servizio della missione della Chiesa nel mondo