“Economia” è una parola greca che significa “legge della casa” del mondo, nella quale sono da considerare innanzitutto le persone prima di ogni realtà finanziaria. Finanza ed economia non sono quindi sinonimi – scrive il cardinale Gianfranco Ravasi nell’intervento che sarà pronunciato il 6 febbraio all’università Corvinus di Budapest nel corso della tappa ungherese del Cortile dei gentili – L’elemento fondamentale è riconoscere che la figura centrale che domina l’orizzonte è la persona umana.
La finanza è soltanto uno strumento che deve essere al servizio dell’economia, che è la regola della vita sociale dell’intera umanità. In momenti difficili c’è la necessità di ritrovare alcuni valori culturali ed etici fondativi. Una prima concezione radicale che proponiamo potrebbe essere definita come il “principio personalista”. Il concetto di persona, alla cui nascita hanno contribuito anche altre correnti di pensiero, acquista infatti nel mondo ebraico-cristiano una particolare configurazione attraverso un volto che ha un duplice profilo e che ora rappresenteremo facendo riferimento a due testi biblici essenziali che sono quasi l’incipit assoluto dell’antropologia cristiana e della stessa antropologia occidentale. L’uomo possiede una capacità trascendente che lo porta a essere unito “verticalmente” a Dio stesso. La duplice rappresentazione etico-religiosa della persona finora descritta nella relazione col prossimo e con Dio potrebbe essere delineata con un’immagine molto suggestiva di Wittgenstein che, nella prefazione al Tractatus logico-philosophicus, illustra lo scopo del suo lavoro.
Egli afferma che era sua intenzione investigare i contorni di un’isola, ossia l’uomo circoscritto e limitato. Ma ciò che ha scoperto alla fine sono state le frontiere dell’oceano. La parabola è chiara: se si cammina su un’isola e si guarda solo da una parte, verso la terra, si riesce a circoscriverla, a misurarla e a definirla. Ma se lo sguardo è più vasto e completo e si volge anche dall’altra parte, si scopre che su quella linea di confine battono anche le onde dell’oceano. In sostanza, come affermano le religioni, nell’umanità c’è un intreccio fra la finitudine limitata e un qualcosa di trascendente, comunque poi lo si voglia definire. L’uomo diventa veramente se stesso solo quando si trova con gli occhi negli occhi dell’altro. In una suggestiva una parabola proveniente dal mondo tibetano si immagina una persona che, camminando nel deserto, scorge in lontananza qualcosa di confuso. Per questo comincia ad avere paura, dato che nella solitudine assoluta della steppa una realtà oscura e misteriosa — forse un animale, una belva pericolosa — non può non inquietare. Avanzando, il viandante scopre, però, che non si tratta di una bestia, bensì di un uomo. Ma la paura non passa, anzi aumenta al pensiero che quella persona possa essere un predone. Tuttavia, si è costretti a procedere fino a quando si è in presenza dell’altro. Allora il viandante alza gli occhi e, a sorpresa, esclama: «È mio fratello che non vedevo da tanti anni!».
Fonte: osservatoreromano.va