Si ha profondamente turbato la foto di un bambino morto sulla spiaggia e riproposta sulle prime pagine dei giornale e dei blog. E’ un bambino che sembra dormire, come uno dei nostri figli o nipoti? Fino a ieri sera ho sempre pensato di non arrivare mai a vivere e a vedere una tale foto. Straziante. Inumano. Non ho parole.
Nella sua drammaticità, questa foto, ci chiama a non nasconderci dietro i nostri peccati di omissione. Difatti nascondere questa immagine significava girare la testa dall’altra parte, far finta di niente, ed alimentare la nostra indifferenza per la nuova shoah postmoderna.
Questo bambino, che scappava con i suoi fratelli e i suoi genitori da una guerra che si svolge alle porte di casa nostra, pretende che tutti sappiano. Pretende che ognuno di noi si fermi un momento e sia cosciente di cosa sta accadendo sulle spiagge del mare in cui siamo andati in vacanza. Poi potrete riprendere la vostra vita, magari indignati da questa scelta, ma consapevoli.
Nella mia vita ho avuto il “dono” d’incontrare persone siriane, anche islamiche in cui l’estremismo e il radicalismo erano del tutto sconosciuti. Oggi sono costretti ad abbandonare tutto – case, negozi, terreni – per salvare l’unica cosa che conta la vita dei loro figli e della loro famiglia. Per televisione vedo questi bambini con gli occhi impauriti, con le loro piccole mani strette a quelle dei loro genitori. Come tutti i papà e le mamme del mondo hanno la preoccupazione di difenderli dalla paura e gli comprano un pupazzo, un cappellino o un pallone prima di salire sul gommone, dopo avergli promesso che non ci saranno più incubi e esplosioni nelle loro notti.
Non si può più balbettare, fare le acrobazie tra le nostre paure e i nostri slanci, questa foto farà la Storia come è accaduto ad una bambina vietnamita con la pelle bruciata dal napalm o a un bambino con le braccia alzate nel ghetto di Varsavia. E’ l’ultima occasione per vedere se i governanti europei saranno all’altezza della Storia.
E l’occasione per ognuno di noi di fare i conti con il senso ultimo dell’esistenza.
Carmine Tabarro