L’uomo moderno non ha più familiarità con il concetto di peccato, perché l’idea di peccato «gli pare sostituire il diritto di un altro, il diritto di Dio, sulla propria coscienza», e dunque lo fa sentire in una posizione di «dipendenza da Dio e di non autonomia».
Di conseguenza fa difficoltà anche ad accogliere il discorso cristiano sulla remissione dei peccati, e quindi sulla misericor-dia del Padre. Per questo è necessa-rio tornare a proporre con maggiore insistenza proprio l’insegnamento sulla divina misericordia e sul sacri-ficio di Gesù sulla croce per la re-missione dei peccati del mondo. Ecco in sostanza il senso dell’inter-vento del reggente della Pe-nitenzieria Apostolica, sua Eccellen-za Krzysztof Nykiel, che ha preso la parola martedì 4 marzo, durante la sessione pomeridiana del ventiquat-tresimo corso sul foro interno orga-nizzato dalla Penitenzieria. Sviluppando il tema «La fede della Chiesa nella divina misericor-dia», il reggente ha fatto notare che l’uomo moderno «non riconosce de-biti: questa è la radice culturale che gli rende difficile riconoscere sia la grazia, sia il peccato». Ma cos’è che rifiuta la coscienza moderna? Intanto rifiuta propri0 «il peso di un senso di colpa che sotto-mette l’uomo al dominio e alla pau-ra di Dio e gli impedisce di essere padrone di se stesso e del suo mon-do». L’uomo moderno sente istinti-vamente una contrapposizione tra le pretese religiose e la difesa della sua dignità personale. Questa sensibili-tà, ha sostenuto monsignor Nykiel, è il frutto di tutta la storia moder-nam «caratterizzata dalla ricerca dell’autonomia: dalla rivoluzione scientifica partita nel Seicento, che definisce l’uomo per la sua apparte-nenza all’universo, al cosmo e alle sue regole (Galileo) e al mondo dei viventi (Darwin); alla rivendicazione della sua età adulta e al ragionare da sé (Kant e illuminismo nel Sette-cento); alla liberazione dalla tutela religiosa fatta oggetto di sospetto (Marx, Nieztsche, Freud nell’Ottocento); alla terribile esperienza del Novecento in cui lo spettacolo di violenze e carneficine inimmaginabi-li fa crollare l’idea di un ordine stabilito da Dio e suscita l’obiezione del male (Camus)». È la difficoltà dell’uomo moderno di riconoscere il peccato, e di conse-guenza il perdono, che spiega, alla radice, anche le difficoltà della pra-tica cristiana della confessione o ri-conciliazione. Cosa fare allora? In-nanzitutto, ha detto il reggente, è necessario riproporre il valore della misericordia di Dio nei confronti dell’uomo peccatore, e ricordare che il suo vero significato, così come il vero significato del peccato, si rive-lano pienamente in Gesù. Successivamente il vescovo Juan Ignacio Arrieta Ochoa de Chinche-tru, segretario del Pontificio Consi-glio per i Testi Legislativi e prelato della Penitenzieria Apostolica, ha parlato dell’attività giurisdizionale della Penitenzieria, riferendosi in particolare alla trattazione della cen-sura, quella che il Diritto canonico concepisce come un tipo di «pena con la quale il battezzato che ha commesso un delitto ed è contuma-ce, è privato di alcuni beni spirituali o annessi a essi finché cessi dalla contumacia e venga assolto».
© Osservatore Romano – 7 marzo 2013
Una disamina molto interessante, grazie