In alcune forme di arte sacra si ha la tendenza a rappresentare Dio come un uomo molto anziano, che porta sulle spalle il peso di secoli passati e la relativa sapienza accumulata, che lo autorizza ad intervenire nella storia degli uomini come vuole, senza rispettare la libertà che Egli stesso ha garantito a ciascuno. Altri insistono invece a concepire Dio come un essere di cattivo umore che, stanco di essere solo, ha voluto creare l’uomo, come per dare un po’ di interesse ai suoi lunghi giorni di eternità. Niente è più sbagliato.
Queste visioni, da cui scaturiscono molti errori comuni all’uomo,esprimono la paura che la nostra società ha di Dio, ancora dopo più di 2000 anni. A volte, Dio è associato a figure umane quasi caricaturali di autorità, rivelando il triste dramma di alcune storie. Il dittatore che impone regole, il padre crudele che ci ha abbandonato, il giudice severo, il padrone intollerante, oppure un essere separato, che ha creato il mondo e lo ha abbandonato alla propria sorte. Qualcuno che ha caricato un orologio e lo ha poi lasciato andare avanti da solo, arrivando anche a silenziarlo. “Dio è novità eterna, è eterno in quanto giovane”, affermava il famoso poeta francese Charles Peguy, trovando la fede una notte di Natale, davanti al Bambino Gesù.
Che meravigliosa risposta Dio dà agli uomini, che magari senza saperlo, sotto la maschera dell’indifferenza e di un ateismo anemico in verità hanno paura di Lui, o almeno del concetto di Dio che si sono costruiti. Per presentare Dio, non si potrebbe trovare miglior forma che quella di un bambino. Chi ha paura di un bambino? Non siamo tutti coinvolti dalla sua tenerezza, quasi invitati ad accoglierlo? Davvero davanti a un bambino si abbassa la guardia, si dimenticano i propositi bellicosi. Non c’è nulla da cui proteggersi, nulla da nascondere davanti a un bambino povero. Cosa potrebbe rimproverarci, di cosa potrebbe accusarci?
Nonostante l’apparente passività, il Bambino ha molto da dirci. La sua fragilità e vulnerabilità ci fanno pensare alle innumerevoli vite indifese che sono troncate prima ancora di venire al mondo. Il suo silenzio nel dormire ci ricorda le voci messe a tacere dall’ingiustizia e l’apatia di chi potrebbe alleviare il dolore di chi soffre. Il suo silenzio fa risuonare anche l’eco delle grida negli attentati terroristici. Fa risuonare il gemito inespresso dei poveri, nei corridoi freddi dei nostri ospedali. I suoi occhi vivaci e le braccia aperte per accoglierci rivelano che siamo capaci di costruire stazioni spaziali, cellulari e treni di ultima generazione, ma forse non siamo capaci di fare qualcosa di semplice come abbracciare l’altro e dirgli: “Ti perdono, ricominciamo da capo”.
La povertà di questo bambino può darci un’altra lezione eloquente. La sua povertà denuncia la follia degli uomini che costruiscono muri sempre più alti, con filo spinato e guardie ben armate per proteggere se stessi e i propri beni. Niente possiamo fare però contro il pericolo sempre presente del vuoto e della solitudine. Ah, se contemplassimo di più questo bambino! Scopriremmo che i beni sono doni di Dio, che devono essere posti al servizio dell’altro. Scopriremmo che la povertà e la condivisione ci aprono all’incontro del fratello, per sperimentare la gioia di essere felicemente terzi, dopo Dio e il fratello. Saremmo senza dubbio più ricchi che mai.
Che fare di fronte a tutto ciò? L’uomo resta preso da un dilemma crudele. Da un lato il concetto distorto di Dio, che lo opprime e lo allontana dall’amore. Dall’altro, Dio che viene a noi come un bambino fragile, che attira il nostro affetto, ma sembra incapace di sanare i mali del mondo. Davvero possiamo affidare la causa dell’uomo a un bambino? Vale la pena ricordare le parole del papa emerito Benedetto XVI: “Non sottovalutiamo l’apparente fragilità e piccolezza del bambino, perché Lui ha in mano la chiave della storia e della vita degli uomini”. Non abbiamo paura della luce irradiata dal presepe di Betlemme. Non abbiamo paure dell’irriverenza di Dio, che ha voluto nascondere la sua gloria e maestà nel figlio dell’umile Maria. “Non è solo un cambio di luogo”, recita l’inno Akatistos, “ma un dolce abbassarsi di Dio fino a noi”. Dio è disceso non fino agli uomini in senso generale, ma fino a ciascun uomo con la sua particolarità e singolarità.
Diciamo dunque, al lavoro, in famiglia, in ogni luogo in cui passiamo: “Venite, andiamo a Betlemme, un bambino è nato per noi, un figlio ci è stato dato, il suo nome è Consigliere ammirabile, principe della Pace” (Is 9, 5). Scopriamo, in questo Natale, la ricca povertà di Dio, e in essa la luce della fraternità. Nella sua forte debolezza, troveremo la capacità di amare fino alla fine. Buon Natale!
Rodrigo Santos – Formazione: Dicembre/2012