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Padre Cantalamessa: rompiamo i “doppi vetri” dell’indifferenza e accorgiamoci dei poveri

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Il mistero dell’Incarnazione, contemplato con gli occhi di San Francesco d’Assisi, al centro dell’ultima predica d’Avvento, stamani nella Cappella Redemptoris Mater in Vaticano, per il Papa e la Curia Romana. A tenerla, come di consueto, il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa. Il servizio di Giada Aquilino:RealAudioMP3 

Non accoglie pienamente Cristo “chi non è disposto ad accogliere il povero con cui Egli si è identificato”. È dedicata alla povertà, attraverso il mistero dell’Incarnazione, la riflessione di padre Raniero Cantalamessa. “Non importa solo sapere che Dio si è fatto uomo – ha detto – importa anche sapere che tipo di uomo si è fatto”: per San Francesco, Cristo “si è fatto povero”, il Verbo ha assunto “il povero, l’umile, il sofferente, al punto da indentificarsi con essi:

“I poveri sono i piedi di Gesù. Il povero è anch’esso un ‘vicario di Cristo’, uno che tiene le veci di Cristo. Vicario si intende in senso passivo, non attivo; cioè, non nel senso che quello che fa il povero è come se lo facesse Cristo, ma nel senso che quello che si fa al povero è come se lo si facesse a Cristo”.

Non a caso Giovanni XXIII, ha ricordato padre Cantalamessa, in occasione del Concilio Vaticano II coniò l’espressione “Chiesa dei poveri”: “in un certo senso, tutti i poveri del mondo, siano essi battezzati o meno, le appartengono. La loro povertà e sofferenza – ha aggiunto – è il loro battesimo di sangue”. La Chiesa di Cristo è dunque “immensamente più vasta di quello che dicono le statistiche correnti”.

“Ne deriva che il Papa, vicario di Cristo, è davvero il ‘padre dei poveri’, il pastore di questo immenso gregge, ed è una gioia e uno stimolo per tutto il popolo cristiano vedere quanto questo ruolo è stato preso a cuore dagli ultimi Sommi Pontefici, con le varie lettere sociali, e in modo tutto particolare dal pastore che siede oggi sulla cattedra di Pietro”.

Proprio Papa Francesco e la sua Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium hanno suggerito al predicatore della Casa Pontificia una immagine della società contemporanea: oggi, ha detto, “tendiamo a mettere tra noi e i poveri dei doppi vetri”:

“Noi vediamo i poveri muoversi, agitarsi, urlare dietro lo schermo televisivo, oppure esporre sulle riviste missionarie quei lori occhi che dicono tutto, ma il loro grido ci giunge come da molto lontano. Non ci penetra nel cuore. Lo dico a mia stessa confusione e vergogna. La parola: ‘i poveri’ o ‘gli extracomunitari’ provoca, nei Paesi ricchi, quello che provocava nei romani antichi il grido ‘i barbari, i barbari’: lo sconcerto, il panico”.

Come “piangiamo e protestiamo – e giustamente! – per i bambini a cui si impedisce di nascere” o come “protestiamo – e più che giustamente! – per gli anziani, i malati, i malformati aiutati, a volte spinti, a morire con l’eutanasia”, così dovremmo fare “per i milioni di bambini nati e fatti morire per fame, malattie, bambini costretti a fare la guerra e uccidersi tra loro per interessi a cui non siamo estranei noi dei Paesi ricchi”, oppure “per gli anziani che muoiono assiderati di freddo o abbandonati soli al loro destino”. Noi cristiani, insomma, non possiamo “pensare che sia lo Stato con le sue leggi a dover cambiare i costumi della gente”:

“La prima cosa da fare, nei confronti dei poveri, è dunque rompere i doppi vetri, superare l’indifferenza, l’insensibilità. Dobbiamo, come ci esorta appunto il Papa nell’Esortazione Apostolica, ‘accorgerci’ dei poveri, lasciarci prendere da una sana inquietudine per la loro presenza in mezzo a noi: già questo sarebbe qualcosa. Quello che dobbiamo fare in concreto per essi, lo si può riassumere in tre parole: amarli, soccorrerli, evangelizzarli”.

Amare i poveri significa anzitutto “rispettarli e riconoscere la loro dignità”, ha sottolineato padre Cantalamessa. In essi “brilla di luce più viva la radicale dignità dell’essere umano”. Ma i poveri, ha proseguito, “non meritano soltanto la nostra commiserazione; meritano anche la nostra ammirazione”: “sono i veri campioni dell’umanità”. Come ci ha insegnato San Francesco, “sono nostri fratelli”:

“Questo della fraternità è il contributo specifico che la fede cristiana può dare per rafforzare nel mondo la pace e la lotta alla povertà, come suggerisce il tema della prossima Giornata mondiale della pace ‘Fraternità, fondamento e via per la pace’”.

Al dovere di amare e rispettare i poveri, “segue quello di soccorrerli”. Oggi però, ha notato il frate cappuccino, “non basta più la semplice elemosina. Il problema della povertà è divenuto planetario”:

“Eliminare o ridurre l’ingiusto e scandaloso abisso che esiste tra ricchi e poveri del mondo è il compito più urgente e più ingente che il secondo millennio ha lasciato in eredità al terzo; speriamo che il terzo non lo lasci tale e quale in eredità al nuovo millennio che verrà”.

Gesù riconobbe come sua missione quella di “evangelizzare i poveri”, che – ha proseguito padre Cantalamessa – “hanno il sacrosanto diritto” di udire il Vangelo “che parla di amore ai poveri, ma non di odio ai ricchi”:

“Non dobbiamo permettere che la nostra cattiva coscienza ci spinga a commettere l’enorme ingiustizia di privare della buona notizia coloro che ne sono i primi destinatari. ‘Beati voi poveri, perché vostro è il Regno dei Cieli!’”.

Per questo – ha concluso – per San Francesco d’Assisi “Natale non era solo l’occasione per piangere sulla povertà di Cristo; era anche la festa che aveva il potere di fare esplodere tutta la capacità di gioia che c’era nel suo cuore, ed era immensa”.

Fonte: Radio Vaticana 


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