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Un incontro con Gesù! Congresso di Giovani Shalom in Italia

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Un incontro con Gesù!

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Il secondo giorno del Congresso dei giovani, sabato 3 dicembre, si è aperto con l’intervento di Moyses Azevedo, che ha predicato ai giovani italiani dell’amicizia con Dio e di come andare “più lontano di dove i nostri piedi possono arrivare”, tema centrale del Congresso. Il fondatore della Comunità Cattolica Shalom ha cominciato parlando della sua propria storia di incontro con Gesù e la scoperta del progetto di Dio per la sua vita.
“Dio ha un disegno di amore per ciascuno di noi. Perché ci ama. Chi è Dio? Qual è il nome di Dio? Il nome di Dio è misericordia. Dio non vuole condannare nessuno. Gesù ha dato la sua vita per tutti, non ha condannato nessuno perché la condanna è una nostra scelta. Cristo ha dato la sua vita per perdonarci perché è misericordia. Dio mette il suo cuore nelle nostre miserie e debolezze, per amarci, perdonarci e salvarci dalle nostre miserie dandoci una nuova vita. Se siamo deboli, Egli è pronto a perdonarci. Dio è sempre perdono. Dio ci ama visceralmente e fedelmente. È sempre pronto a perdonare, e camminare con noi: se cadiamo è pronto a rialzarci. Dio ci ama nella nostra debolezza per trasformarla e rendere la nostra vita bella e così possiamo vivere la felicità. Quante volte abbiamo bisogno di Lui, Egli ci aiuterà e cosi possiamo essere felici. Se andiamo alla riconciliazione con cuore contrito Dio perdona, perdona e per sempre. Possiamo avere fiducia nella misericordia di Dio.”

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Attraverso le storie dei grandi santi che erano peccatori, Moyses ha quindi parlato di quello che la misericordia è in grado di fare. “C’è speranza per noi!”, ha esclamato con entusiasmo, ricordandoci che le porte del Cielo sono sempre aperte. Ha concluso dicendo che “il Signore rispetta sempre la nostra libertà, attende la nostra risposta, il nostro sì. Vuole fare miracoli nella nostra vita, ma ha rispetto e aspetta liberamente che apriamo il cuore per far crescere il nostro rapporto con Lui. Egli è qui. Egli è qui. Credete ragazzi? Davvero credete? Egli è qui e ha fatto di tutto perché pure noi fossimo qui perché vuole incontrarci. Egli ci ha attratto qui. Lui è qui e il suo cuore misericordioso vuole entrare in relazione con il nostro cuore debole e guarire le ferite della nostra vita. Volete fare e rinnovare la vostra esperienza con lui? Allora preghiamo”.

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La giornata è proseguita con un talk, che ha visto alternarsi le voci di Valter Santilli, Guzman Carriquiri e padre Edie Bethlem. Il professor Santilli ha trattato un tema difficile ma anche molto interessante, ovvero come affrontare i nostri cosiddetti “momenti no”, che spesso ci affliggono nel corso delle nostre estenuanti giornate. “Non neghiamocelo – ha esordito – siamo pieni di problemi, chi nella scuola, chi con gli amici o con i propri parenti. Come possiamo affrontare tutto questo quotidianamente? Come può l’esperienza del dolore trasformarsi in “perfetta letizia”?” Domanda cruciale, che ha subito risvegliato l’interesse del pubblico. La risposta è tanto più disarmante: la sofferenza è in realtà preziosissima, perché è l’unica cosa che possiamo realmente offrire a Dio. Mentre la gioia è un dono che ci fa Lui, il dolore che incontriamo sulle nostre vie è un “imprevisto” anche nella logica di Dio: imparare ad offrilo dimostra maturità e consapevolezza e questo rallegra il Signore. La sofferenza che non viene offerta, invece, va semplicemente perduta, è una specie di albero sterile che non dara mai frutto. Chiediamoci quindi come viviamo i nostri “momenti no” per capire di che qualità sia il nostro rapporto con Dio e, se possiamo, cerchiamo la strada dell’offerta, silenziosa ma efficace. Al termine di questa riflessione è quindi intervenuto Guzman Carriquiri, il quale ci ha messi in guardia dalla cultura che si trasforma troppo spesso in una “gigante macchina di distrazione” e di “censura dalle grandi domande”. Sentire dentro di sé risuonare le grandi questioni esistenziali è invece essenziale, è un segno di vita, di salute. E quando sorgono queste domande il principale interlocutore che abbiamo è uno solo: Gesù Cristo, l’unico che ha risposte vere a domande altrettanto veritiere. “Ascoltate lui!”, ha concluso Carriquiri, infiammando gli animi di tutti. Il terreno era quindi pronto per sentire l’intervento di padre Edie, le cui parole hanno espresso altre profonde verità: egli ha ricordato il potere rivoluzionario della persona che è convinta in quello che crede. La convinzione principale del cristiano è che Dio è in lui; tutta la forza gli viene dal Risorto. Chi vive con questa convinzione è salvo, ma ancor piu è potente. “Guardiamo a Francesco – ci ha esortato padre Edie – non aveva nulla da dare ma era convinto dei suoi ideali: e ha contribuito in maniera decisiva alla Chiesa. Giovani, siate come lui, l’oggi della Chiesa”.

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Momento molto toccante è stata poi la rappresentazione teatrale “Il Canto delle Irie”, nella quale i giovani hanno raccontato le disavventure di un loro coetaneo alle prese con la dura realtà delle tentazioni. Al centro dello spettacolo un grande pensiero: il fondamento di tutto è la verità; ma l’uomo sarà pronto ad aderirvi? Una domanda incalzante lungo tutta la rappresentazione, che fino all’ultimo ha lasciato tutti col fiato sospeso: l’uomo sceglierà il bene o il male? La risoluzione di tutta la situazione è rappresentata dall’entrata in scena di Gesù in persona, che richiama l’individuo al dovere verso sé stesso. Davanti all’amore puro non esistono più scuse: bisogna rialzarsi e camminare di nuovo, perché c’è qualcuno che ci attende a braccia aperte. Impressionante il momento in cui l’”uomo vecchio” si spoglia delle sue vesti, per trasformarsi in un soggetto nuovo: la trasformazione implica sempre molto dolore – delle vere e proprie urla – perché il peccato corrompe l’uomo fin nella sua radice, nella sua essenza ed è quindi difficilissimo da estirpare. Ma questa trasformazione è guidata dalla speranza: al termine si potrà dire, ormai rinati, “non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me”. Quale gioia più grande? Duc in altum!!!!


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Il secondo giorno del Congresso dei giovani, sabato 3 dicembre, si è aperto con l’intervento di Moyses Azevedo, che ha predicato ai giovani italiani dell’amicizia con Dio e di come andare “più lontano di dove i nostri piedi possono arrivare”, tema centrale del Congresso. Il fondatore della Comunità Cattolica Shalom ha cominciato parlando della sua propria storia di incontro con Gesù e la scoperta del progetto di Dio per la sua vita.
“Dio ha un disegno di amore per ciascuno di noi. Perché ci ama. Chi è Dio? Qual è il nome di Dio? Il nome di Dio è misericordia. Dio non vuole condannare nessuno. Gesù ha dato la sua vita per tutti, non ha condannato nessuno perché la condanna è una nostra scelta. Cristo ha dato la sua vita per perdonarci perché è misericordia. Dio mette il suo cuore nelle nostre miserie e debolezze, per amarci, perdonarci e salvarci dalle nostre miserie dandoci una nuova vita. Se siamo deboli, Egli è pronto a perdonarci. Dio è sempre perdono. Dio ci ama visceralmente e fedelmente. È sempre pronto a perdonare, e camminare con noi: se cadiamo è pronto a rialzarci. Dio ci ama nella nostra debolezza per trasformarla e rendere la nostra vita bella e così possiamo vivere la felicità. Quante volte abbiamo bisogno di Lui, Egli ci aiuterà e cosi possiamo essere felici. Se andiamo alla riconciliazione con cuore contrito Dio perdona, perdona e per sempre. Possiamo avere fiducia nella misericordia di Dio.”

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Attraverso le storie dei grandi santi che erano peccatori, Moyses ha quindi parlato di quello che la misericordia è in grado di fare. “C’è speranza per noi!”, ha esclamato con entusiasmo, ricordandoci che le porte del Cielo sono sempre aperte. Ha concluso dicendo che “il Signore rispetta sempre la nostra libertà, attende la nostra risposta, il nostro sì. Vuole fare miracoli nella nostra vita, ma ha rispetto e aspetta liberamente che apriamo il cuore per far crescere il nostro rapporto con Lui. Egli è qui. Egli è qui. Credete ragazzi? Davvero credete? Egli è qui e ha fatto di tutto perché pure noi fossimo qui perché vuole incontrarci. Egli ci ha attratto qui. Lui è qui e il suo cuore misericordioso vuole entrare in relazione con il nostro cuore debole e guarire le ferite della nostra vita. Volete fare e rinnovare la vostra esperienza con lui? Allora preghiamo”.

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La giornata è proseguita con un talk, che ha visto alternarsi le voci di Valter Santilli, Guzman Carriquiri e padre Edie Bethlem. Il professor Santilli ha trattato un tema difficile ma anche molto interessante, ovvero come affrontare i nostri cosiddetti “momenti no”, che spesso ci affliggono nel corso delle nostre estenuanti giornate. “Non neghiamocelo – ha esordito – siamo pieni di problemi, chi nella scuola, chi con gli amici o con i propri parenti. Come possiamo affrontare tutto questo quotidianamente? Come può l’esperienza del dolore trasformarsi in “perfetta letizia”?” Domanda cruciale, che ha subito risvegliato l’interesse del pubblico. La risposta è tanto più disarmante: la sofferenza è in realtà preziosissima, perché è l’unica cosa che possiamo realmente offrire a Dio. Mentre la gioia è un dono che ci fa Lui, il dolore che incontriamo sulle nostre vie è un “imprevisto” anche nella logica di Dio: imparare ad offrilo dimostra maturità e consapevolezza e questo rallegra il Signore. La sofferenza che non viene offerta, invece, va semplicemente perduta, è una specie di albero sterile che non dara mai frutto. Chiediamoci quindi come viviamo i nostri “momenti no” per capire di che qualità sia il nostro rapporto con Dio e, se possiamo, cerchiamo la strada dell’offerta, silenziosa ma efficace. Al termine di questa riflessione è quindi intervenuto Guzman Carriquiri, il quale ci ha messi in guardia dalla cultura che si trasforma troppo spesso in una “gigante macchina di distrazione” e di “censura dalle grandi domande”. Sentire dentro di sé risuonare le grandi questioni esistenziali è invece essenziale, è un segno di vita, di salute. E quando sorgono queste domande il principale interlocutore che abbiamo è uno solo: Gesù Cristo, l’unico che ha risposte vere a domande altrettanto veritiere. “Ascoltate lui!”, ha concluso Carriquiri, infiammando gli animi di tutti. Il terreno era quindi pronto per sentire l’intervento di padre Edie, le cui parole hanno espresso altre profonde verità: egli ha ricordato il potere rivoluzionario della persona che è convinta in quello che crede. La convinzione principale del cristiano è che Dio è in lui; tutta la forza gli viene dal Risorto. Chi vive con questa convinzione è salvo, ma ancor piu è potente. “Guardiamo a Francesco – ci ha esortato padre Edie – non aveva nulla da dare ma era convinto dei suoi ideali: e ha contribuito in maniera decisiva alla Chiesa. Giovani, siate come lui, l’oggi della Chiesa”.

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Momento molto toccante è stata poi la rappresentazione teatrale “Il Canto delle Irie”, nella quale i giovani hanno raccontato le disavventure di un loro coetaneo alle prese con la dura realtà delle tentazioni. Al centro dello spettacolo un grande pensiero: il fondamento di tutto è la verità; ma l’uomo sarà pronto ad aderirvi? Una domanda incalzante lungo tutta la rappresentazione, che fino all’ultimo ha lasciato tutti col fiato sospeso: l’uomo sceglierà il bene o il male? La risoluzione di tutta la situazione è rappresentata dall’entrata in scena di Gesù in persona, che richiama l’individuo al dovere verso sé stesso. Davanti all’amore puro non esistono più scuse: bisogna rialzarsi e camminare di nuovo, perché c’è qualcuno che ci attende a braccia aperte. Impressionante il momento in cui l’”uomo vecchio” si spoglia delle sue vesti, per trasformarsi in un soggetto nuovo: la trasformazione implica sempre molto dolore – delle vere e proprie urla – perché il peccato corrompe l’uomo fin nella sua radice, nella sua essenza ed è quindi difficilissimo da estirpare. Ma questa trasformazione è guidata dalla speranza: al termine si potrà dire, ormai rinati, “non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me”. Quale gioia più grande? Duc in altum!!!!


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Il secondo giorno del Congresso dei giovani, sabato 3 dicembre, si è aperto con l’intervento di Moyses Azevedo, che ha predicato ai giovani italiani dell’amicizia con Dio e di come andare “più lontano di dove i nostri piedi possono arrivare”, tema centrale del Congresso. Il fondatore della Comunità Cattolica Shalom ha cominciato parlando della sua propria storia di incontro con Gesù e la scoperta del progetto di Dio per la sua vita.
“Dio ha un disegno di amore per ciascuno di noi. Perché ci ama. Chi è Dio? Qual è il nome di Dio? Il nome di Dio è misericordia. Dio non vuole condannare nessuno. Gesù ha dato la sua vita per tutti, non ha condannato nessuno perché la condanna è una nostra scelta. Cristo ha dato la sua vita per perdonarci perché è misericordia. Dio mette il suo cuore nelle nostre miserie e debolezze, per amarci, perdonarci e salvarci dalle nostre miserie dandoci una nuova vita. Se siamo deboli, Egli è pronto a perdonarci. Dio è sempre perdono. Dio ci ama visceralmente e fedelmente. È sempre pronto a perdonare, e camminare con noi: se cadiamo è pronto a rialzarci. Dio ci ama nella nostra debolezza per trasformarla e rendere la nostra vita bella e così possiamo vivere la felicità. Quante volte abbiamo bisogno di Lui, Egli ci aiuterà e cosi possiamo essere felici. Se andiamo alla riconciliazione con cuore contrito Dio perdona, perdona e per sempre. Possiamo avere fiducia nella misericordia di Dio.”

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Attraverso le storie dei grandi santi che erano peccatori, Moyses ha quindi parlato di quello che la misericordia è in grado di fare. “C’è speranza per noi!”, ha esclamato con entusiasmo, ricordandoci che le porte del Cielo sono sempre aperte. Ha concluso dicendo che “il Signore rispetta sempre la nostra libertà, attende la nostra risposta, il nostro sì. Vuole fare miracoli nella nostra vita, ma ha rispetto e aspetta liberamente che apriamo il cuore per far crescere il nostro rapporto con Lui. Egli è qui. Egli è qui. Credete ragazzi? Davvero credete? Egli è qui e ha fatto di tutto perché pure noi fossimo qui perché vuole incontrarci. Egli ci ha attratto qui. Lui è qui e il suo cuore misericordioso vuole entrare in relazione con il nostro cuore debole e guarire le ferite della nostra vita. Volete fare e rinnovare la vostra esperienza con lui? Allora preghiamo”.

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Momento molto toccante è stata poi la rappresentazione teatrale “Il Canto delle Irie”, nella quale i giovani hanno raccontato le disavventure di un loro coetaneo alle prese con la dura realtà delle tentazioni. Al centro dello spettacolo un grande pensiero: il fondamento di tutto è la verità; ma l’uomo sarà pronto ad aderirvi? Una domanda incalzante lungo tutta la rappresentazione, che fino all’ultimo ha lasciato tutti col fiato sospeso: l’uomo sceglierà il bene o il male? La risoluzione di tutta la situazione è rappresentata dall’entrata in scena di Gesù in persona, che richiama l’individuo al dovere verso sé stesso. Davanti all’amore puro non esistono più scuse: bisogna rialzarsi e camminare di nuovo, perché c’è qualcuno che ci attende a braccia aperte. Impressionante il momento in cui l’”uomo vecchio” si spoglia delle sue vesti, per trasformarsi in un soggetto nuovo: la trasformazione implica sempre molto dolore – delle vere e proprie urla – perché il peccato corrompe l’uomo fin nella sua radice, nella sua essenza ed è quindi difficilissimo da estirpare. Ma questa trasformazione è guidata dalla speranza: al termine si potrà dire, ormai rinati, “non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me”. Quale gioia più grande? Duc in altum!!!!


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